Il pupo incoronato console imperiale: Federico II re d'Italia e principe di «Teate» nella Lecce del 1194. Dalle Università delle

Riferimento: 9788872974049

Editore: ABE
Autore: Bascetta Arturo, Cuttrera Sabato
In commercio dal: 03 Giugno 2024
Pagine: 116 p., Libro in brossura
EAN: 9788872974049
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Descrizione

Quando stette per nascere Federico II il papa aveva già quasi posto fine al disegno criminoso dei predecessori di spogliare l'antico Principato dei greci e di far nascere una Civitate Dei per sovrintendere sulle diocesi in costruzione, quelle nate proprio dall'annessione dei distrutti e dilaniati territori delle diaconie greche. L'urbe vaticana di Viano, in Laureto, ancora stette per scippare ai greci l'urbe pagana detta Civitatense per far nascere la diocesi di Larino. Anche S.Angelo di Canosa divenne vicaria templare, quando fu costruita la nuova sede di Barletta che ne assorbì beni, territori e primaziato. S.Marco in Lamis si ritrovò così staccato dall'ex S.Angelo, che a sua volta venne detto dai nuovi proprietari papalini S.Giovanni in Lamis, ma non era altro che l'ex Civitate delle Terre Beneventane, relegando i greci nell'ex urbe S.Maria in Lama, l'unica rimasta ai greci, e non ai latini, perché simbolo del paganesimo. Furono quindi i Templari a richiamare l'Imperatore per sconvolgere la geografia storica, più che per mettere ordine in Puglia, spostando la sede del Principato Apulia di rito misto da «Berola» di Canosa a «Baruletta», dove si praticò il solo rito latino, cambiando la geografia storica della città-stato dell'Apulia, Urbe Principato a Vetere, fondata da Ruggero Borsa presso i ruderi della Reggia paterna del Guiscardo (e rasa al suolo dal sima del 1088), prima di essere ricacciato a Salerno dal fratellastro Boemondo, rimasto fedele solo al Vaticano nella guerra del 1101, che ripudiò anche la matrigna Sichelgaita. Le 30 Terre di mezzo di Puglia e Lucania furono quindi lasciate ai templari di Canosa, mentre nasceva Barletta, mettendo le mani dall'Adriatico al Golfo di Policastro, prima di partire per la liberazione di Gerusalemme. All'Imperatore, intanto, fu promessa la corona longobarda di Re d'Italia in Pavia, quella dismessa dell'originario Principato Regio barolitano e canosino, e forse quella di Duca pontificio, essendo stato rifondato il seggio nella provincia ducale di Nova Barletta, quindi Re d'Italia, Principe e Duca di Puglia. Fatto è che Enrico VI appare contrariato e impone ai suoi Balbani e Svevi di prendere sia la Neapolis e l'isola di Sicilia, perché vuole tutto, a cominciare dalla corona appartenuta al padre della moglie. L'Imperatore non solo pretende Pavia e la Puglia, ma il Regno di Sicilia Ultra e Citra, contro Tancredi e i parenti della moglie Costanza. Da qui lo stop imposto dai papalini di Sanseverino, conte di Tricarico, che occuparono il Bradaro, alla morte di Re Tancredi, per dichiarare Lecce giustizierato vaticano soggetto a Capua e congelare con le armi quel Principato, senza il possesso del quale sarebbe stato nulla il titolo di Re di Sicilia Ultra. Intanto l'Imperatore si prese la Sicilia Citra e l'ex Regina Sibilla e Guglielmo III sono costretti a cedere il trono di Palermo, invasa e spodestata dai parenti che si autoincoronarono Re di Sicilia Citra, costringendo l'ex Regina Sibilla a sposare il fratello del sovrano svevo: ora era Costanza la reggente dell'Imperatore, pronto a ripartire per sedare le rivolte in Lombardia, contraria alla corona. Ma la sovrana aspetta un figlio e riparte anch'ella per Jesi, col tesoro trasportato da 30 muli, dove nascerà il frutto del suo grembo, Federico II, affatturato da Mago Merlino, tale che il cronista Salimbene, lo dirà «figlio al beccaio». La morte dell'Imperatore rasserena gli animi appena aizzati in Sicilia, ma Costanza, per restare tranquilla, decide di lasciare i regni al figlio e la di lui tutela al papa.