Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia (rist. anast. 1865)

Riferimento: 9788855250979

Editore: Francesco D'Amato
Autore: Villari Pasquale, Sirignano F. M. (cur.)
In commercio dal: 30 Settembre 2021
Pagine: 120 p., Libro in brossura
EAN: 9788855250979
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Descrizione

«Nel principio di questo secolo, si pubblicava a Roma la Visione d'un frate Alberico, monaco di Montecassino, e subito si vide accapigliarsi l'irrequieta moltitudine dei comentatori. Da un lato si voleva, in quella strana leggenda, trovar la prima idea del poema sacro; e dall'altro, si gridava allo scandalo contro chi poteva veder somiglianza tra le divine immagini del poeta, e i sogni puerili d'un frate ignorante. Ma questa battaglia cessò presto, e non si seppe mai chi aveva ottenuto la vittoria. Gli avversari sembravano stanchi d'aver tirato dei colpi in aria, senza risultato; il pubblico non capiva, perchè uno scritto così povero sollevasse tanto rumore; e per un pezzo non s'è udito più ragionar di frate Alberico. In questo mezzo, però, si trovava nelle letterature straniere un gran numero di simili leggende, che parevano avere colla Divina Commedia i medesimi rapporti. Storici ed eruditi, come Ozanam, Labitte, Wright e tanti altri, non esitarono punto a dire, che Dante ritrovò l'idea del suo poema in tutto il secolo; che la Francia, la Germania, tutta l'Europa avevano contribuito in qualche modo alla Divina Commedia.» Questo l'incipit del volume, che racconta alcune tra le più note leggende medievali d'oltretomba, dalla Navigazione di San Brandano al Purgatorio di San Patrizio alla Visione di Tundalo. La passione risorgimentale e l'ansia di rinnovamento civile, filtrate dall'insegnamento desanctisiano, fecero coesistere in Villari, con eguale calore di partecipazione, la tradizione laico-mazziniana con quella manzoniana e neoguelfa. Villari accetta l'antitesi, cara agli storiografi liberali, di un'irriducibile estraneità del mondo latino, armonioso e organizzatore, al mondo germanico, mistico e irrazionale. L'antitesi trovò una singolare verifica, nel caso di Dante, nel riconosciuto divario tra le cosiddette fonti della Commedia e l'uso che ne fece il poeta.